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L’innovazione è una questione di “ambiente”

Intervista ad Alberto Babbini, Technology Innovation Leader per Baker Hughes TPS e docente del modulo “Gestione dell’innovazione e transizione energetica“.

Si definisce un nerd non praticante” dal momento in cui ha scoperto la tecnologia, a nove anni, quando ricevette in regalo dai genitori il suo primo pc. Oggi ha quarantadue anni, dodici dei quali spesi come ingegnere meccanico nel reparto “Sviluppo prodotto” di Baker Hughes fino a quando non ha deciso, nel 2019, di dedicarsi allinnovazione.

Perché ha deciso che era il momento di cambiare? 

La decisione è arrivata dopo aver seguito una formazione aziendale in cui si parlava anche dell’innovazione fatta nella Silicon Valley. Mi portai a casa un insegnamento prezioso che trasportai subito nel mio flusso di lavoro: “Fail Fast, Learn Faster”. Nel frattempo, era il 2016, nel team di cui facevo parte in Baker Hughes (Sviluppo Prodotto), avevamo completato il rinnovamento dell’intera linea di prodotti e quindi non era rimasto molto di nuovo da sviluppare. Si trattava dei compressori alternativi, uno dei prodotti Baker Hughes con la tradizione ingegneristica più lunga.

In cosa consiste il suo lavoro oggi? 

La risposta ufficiale è che mi occupo di trovare nuove tecnologie all’interno e all’esterno di Baker Hughes e di usarle come opportunità per lo sviluppo organico (fatto basandosi sulle proprie risorse interne) e inorganico (che richiede un investimento esterno, come un’ acquisizione o una partnership). Questo significa che con il mio lavoro supporto sia il team di Ricerca e Sviluppo nell’esecuzione di programmi a basso TRL (Technology Readiness Level) sia il team di investimenti, soprattutto per la parte di transizione energetica.  

La risposta più personale e informale è che come ingegnere faccio il lavoro più bello del mondo: vedo continuamente tecnologie nuove, sono a stretto contatto con realtà molto dinamiche, con istituti che fanno ricerca su cose che un domani potrebbero avere un enorme impatto sul mondo. È un lavoro stimolante, appagante, certamente faticoso ma che non cambierei per nessun altro.

Qual è l’ingrediente segreto che rende possibile innovare?

Per fare innovazione servono innovatori. E per avere innovatori servono persone con il mindset giusto cioè con grandi conoscenze tecnologiche. Ma non basta. Bisogna creare un ambiente in cui si possa “respirare” curiosità e propensione al rischio e dove si possa fallire senza gravi conseguenze per consentire a queste persone di esprimersi al meglio.

Nel mio team siamo in otto con età dai 29 ai 36 anni e con background diversi rispetto all’ingegneria tradizionale: abbiamo uno scienziato che si è sempre occupato di fisica dei materiali, una chimica con dottorato in elettrochimica, un esperto di elettrolisi, un dottorato in ingegneria biomedica e così via. Inoltre fanno parte della squadra anche alcuni stagisti, ancora non laureati in chimica, ingegneria di processo, fisica ed economia che sono per noi una sorta di “team ombra”. Sono giovani che non hanno ancora un bias cognitivo che deriva dall’aver lavorato in azienda e riescono a passarci input molto freschi, brillanti e sempre nuovi.

Cosa si apprende nel modulo “Gestione dell’innovazione e transizione energetica”?

Il modulo di BiG Academy, che conduco insieme a due professori dell’Università degli Studi di Firenze, combina il tema dell’innovazione e quello della transizione energetica. Sono due concetti che non si possono separare e sono entrambi fondamentali per il nostro futuro: per affrontare la transizione energica non si può non fare anche innovazione per cui, a livello industriale e all’interno delle imprese serve un enorme cambio culturale che porti ad una maggiore conoscenza di tutte le nuove tecnologie che è possibile sperimentare e applicare. Certo occorre anche prevedere di sbagliare e fallire che è uno step fondamentale per chi fa innovazione.

In BiG Academy cerco di riprodurre e portare proprio questo “ambiente” in cui ogni persona della classe possa sbagliare, esprimere le proprie idee e confrontarsi. 

Ci spiega in che modo il fallimento si rivela utile?

Intanto bisogna comprendere cosa significa la parola “fallimento”. Ad esempio negli anni ’60 alla NASA dichiaravano “Failure Is Not an Option” mentre in tempi più recenti l’azienda aerospaziale Space X prima di far decollare e atterrare il proprio Rocket Booster ne ha disintegrati molti altri. Dunque qualcosa è cambiato…

Sicuramente un’idea negativa del fallimento porta anche a non avere una exit strategy, cosa che invece ogni persona, ogni imprenditore e azienda dovrebbe avere. Oggi è importante rendere il fallimento una pratica per lo sviluppo, creando un ambiente dove l’errore non viene colpevolizzato e facendo in modo che questo non abbia impatti sulla salute e la sicurezza delle persone.

Questa è una delle parti più importanti del mio corso in BiG Academy e che affronto in quest’ottica per fornire strumenti e esempi pratici ai manager che partecipano al corso.

A proposito di transizione energetica, in che modo si può portare avanti nel mondo produttivo?

L’obiettivo della transizione energetica deve essere comune a tutti. Dalla grandissima azienda a quella più piccola perché solo insieme si può raggiungere un obiettivo così importante. La sfida per le imprese più piccole si traduce soprattutto in un tema di ottimizzazione dei consumi e di efficientamento. Le grandi imprese devono invece creare e offrire soluzioni che riescano a ridurre l’impronta di anidride carbonica per loro e per i loro clienti.  Anche il consumatore finale, il cittadino, deve diventare più consapevole e informarsi sull’impatto che le tecnologie hanno sull’ambiente e sull’energia consumata. 

Qual è la sfida più grande di un manager oggi?

Ce ne sono diverse. Per prima cosa credo debba rendere soddisfatte le persone che lavorano con lui. Un ambiente di lavoro sano, con persone felici di fare il proprio lavoro è fondamentale. Per questo il manager deve saper gestire il carico di lavoro in maniera agile così da far lavorare al meglio i propri collaboratori.
Poi deve avere apertura mentale, che significa non avere bias e quindi essere aperto alle nuove idee che arrivano dall’interno e dall’esterno dell’azienda. Infine, deve riuscire ad avere sempre una prospettiva ampia e di lungo periodo. Certe volte si corre il rischio di voler sopraffare un competitor o un altro team per obiettivi a breve termine, ma il bravo manager che vuole fare la differenza deve sempre avere in mente quali sono gli obiettivi dell’intera azienda e cercare costantemente di raggiungerli. 

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Alberto Babbini
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