Il professor Petretto è uno dei maggiori esperti in Italia di Politica economica e membro del nostro Advisory Board. In questa intervista ci spiega perchè, anche in vista dell’arrivo delle risorse straordinarie previste dal piano Next Generation EU, l’Italia dovrebbe cambiare marcia. Gli abbiamo anche chiesto qual’è lo stato di salute della nostra economia scoprendo che, tra carenze sistemiche e criticità contingenti, il bilancio non può certo dirsi positivo. “Prima di questa pandemia – ci spiega – il nostro sistema economico era già sofferente e affaticato; l’emergenza Covid-19 ha avuto un ulteriore effetto di indebolimento, un po’ come farebbe sul fisico di un anziano o un soggetto a rischio”.
La crisi dovuta all’emergenza Covid-19 è arrivata mentre la parte industriale della nostra economia stava ancora cercando di recuperare i danni causati dalla crisi precedente, quella finanziaria, che si è scatenata nel 2008. Ma se consideriamo il 2007 il nostro “starting point” dobbiamo dire che già allora l’economia non era in buona salute poiché stavamo crescendo meno degli altri Paesi Europei.
Ci sono diversi studi che identificano nei primi anni Duemila l’inizio di una tendenza negativa dovuta al mancato sviluppo di riforme necessarie: questo ci ha negato di cogliere a pieno la trasformazione portata dall’Euro. Oltre al fatto che, in quegli anni, abbiamo fatto crescere il rapporto debito/PIL senza preoccuparci delle conseguenze che sarebbero poi divenute pesanti nelle fasi negative del ciclo.
Nella fase dei “distretti industriali” le PMI hanno raggiunto vette di eccellenza importanti nella produzione e nell’export al punto che anche piccolissime realtà, altamente qualificate, avevano le loro quote di mercato in tutto il mondo. Gli anni ’80-’90 sono stati caratterizzati da tendenze di crescita e sviluppo in questo senso. Poi c’è stato un balzo tecnologico in avanti che ha portato verso una produzione più digitalizzata, personalizzata e dettagliata all’istante, e qui la capacità propulsiva dei distretti è venuta esaurendosi.
Devono crescere nelle dimensioni produttive e finanziarie e saper transitare verso una produzione più tecnologica per competere meglio con la manifattura asiatica. Ma per fare questo servono reti di coordinamento e azioni di sistema; è impensabile affrontare questa sfida da soli.
Non molta. Questo perché il nostro sistema è molto frammentato, a tanti livelli, e caratterizzato da grandi disuguaglianze. Ci sono settori eccellenti (quello farmaceutico o della moda del lusso, solo per fare degli esempi) ed aree del Paese la cui produttività può essere facilmente equiparata a quella della Germania e di regioni del nord Europa; mentre ci sono settori più in difficoltà ed aree meno sviluppate. Questi squilibri, oltre a frenare l’intero sistema, impediscono la consapevolezza sulle problematiche da risolvere.
Le risorse provenienti dal Next Generation EU ammontano a circa 209 miliardi, la maggior parte dei quali (193 miliardi) provenienti dalla cosiddetta “Recovery e Resilience Facility”. Con questi soldi si andranno a finanziare progetti in sei settori considerati strategici (digitalizzazione, transizione verde, infrastrutture, istruzione e ricerca, inclusione e coesione sociale, salute). Si tratta di ambiti ad alta attivazione di produttività e reddito, dunque dal punto di vista della sostenibilità dell’ampio debito generato possiamo stare relativamente tranquilli. Il problema è che le risorse devono essere spese entro il 2026, e se si considera che in Italia il tempo medio di realizzazione dei progetti infrastrutturali è di 8-9 anni, significa che il Paese deve attuare una specie di mutazione genetica, cioè riuscire a fare oggi quello che in tanti anni non abbiamo mai fatto!
Il problema sta nella macchina amministrativa che è da riformare. In Italia le idee e le progettualità non mancano, e abbiamo grandi industrie avanzate, ma poi ci si arena negli iter burocratici e ministeriali. Non è solo questione di digitalizzazione delle attività ma anche di competenze a livello amministrativo e tecnico. Avremmo bisogno anche di grandi figure di ministri, desiderosi e capaci di riformare il sistema anche a costo di perdere consenso.
Temo che le forze politiche si attarderanno a risolvere le questioni di assetto parlamentare e di compagine governativa, distraendosi dai compiti straordinari che la situazione richiede. Ricordo che il Next Generation EU non richiede solo investimenti ma anche riforme e ne cito solo tre: fisco, giustizia e mercato del lavoro.
Mi voglio congratulare con loro e con le loro rispettive imprese per aver scelto di investire nelle competenze: oggi per un’ azienda il capitale umano è altrettanto importante quanto il capitale fisico. Da genitore e da nonno di 5 nipotini mi sento di dire che in fondo, il più grande investimento sta sempre nell’arricchimento della conoscenza e del sapere.