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“Oltre la crisi, serve una cultura della rigenerazione”

Intervista a Gabriele Gori Direttore Generale della Fondazione CR Firenze che ogni anno stanzia una media di 35 milioni di euro per scopi di utilità sociale e per lo sviluppo del territorio, di cui circa un quarto per progetti di formazione e per la ricerca (tra questi, dallo scorso anno, c’è anche BiG Academy). Un ruolo che lo porta continuamente in ascolto del territorio, di ciò che serve ed è più urgente fare.

Parliamo di sviluppo del territorio e cultura della rigenerazione con Gabriele Gori

Qual è la cosa di cui c’è più bisogno in Toscana?

Abbiamo bisogno di attrarre un maggior numero di grandi imprese perché sono soprattutto loro a creare posti di lavoro.

Come possiamo farlo?

Occorre dimostrare che nella nostra regione si vive e si lavora bene, che abbiamo una dimensione internazionale di connessione con il mondo, che il sistema dei trasporti funziona, ma soprattutto dobbiamo saper offrire quelle competenze e professionalità che le multinazionali cercano.

Di che competenze si tratta?

Sono tutte le competenze professionali e manageriali che guidano e governano il trasferimento tecnologico nelle imprese, innalzando gli standard minimi di conoscenze oggi presenti nel territorio.
Oggi le diverse aree del mondo non competono solo per la bellezza, il patrimonio storico e l’attrazione del turismo ma anche per le competenze diffuse che possono mettere a disposizione di chiunque decida di investirci.

BiG Academy è nata anche con questo obiettivo. Cosa si può dire ad un anno dalla sua nascita?

Quello di BiG è un modello innovativo, che ho subito apprezzato e scelto di appoggiare, poiché mette in rete non solo le aziende internazionali con le imprese del territorio ma anche il pubblico con il privato. Questa modalità in Italia è ancora poco recepita perciò dobbiamo andare avanti e dimostrare, con costanza, i benefici che può portare a tutti.

La Fondazione favorisce altre esperienze di rete?

Il ruolo della Fondazione è quello di facilitazione a vari livelli, cercando di fare da ponte tra la società civile e le istituzioni che purtroppo hanno sempre meno punti di contatto tra loro. Abbiamo costruito un mondo in cui i politici sono chiamati prima di tutto a inseguire il consenso, e in cui i cittadini sono andati piano piano disamorandosi della cosa pubblica. Noi, come soggetto no profit privato, da una posizione neutrale, ascoltiamo i bisogni della società e cerchiamo di mettere in atto risposte in un’ottica pluriennale. In questo modo possiamo anche fare innovazione.

La pandemia ha cambiato le priorità d’intervento?

Non c’è un indicatore di tipo economico o sociale che non sia peggiorato a causa della pandemia. La quantità di persone fragili è aumentata a tutti i livelli, basti pensare al disagio psichico e alla violenza familiare che hanno visto in questi mesi un grave inasprimento degli episodi. Ma con il Terzo Settore e la Pubblica Amministrazione stiamo cercando di governare la crisi senza calcare troppo la mano sul dramma sociale e questo lo giudico particolarmente importante per non attivare una spirale di negatività.

Lei è un ottimista?

Per fare questo lavoro non si può che essere ottimisti. Io credo che dobbiamo ritenerci fortunati per essere nati in questa terra ricca di storia, arte e cultura e famosa in tutto il mondo. Dobbiamo saper andare oltre le crisi con una cultura della rigenerazione, che significa rimboccarsi le maniche per creare un futuro migliore per i nostri figli e nipoti, come ha detto il Presidente del Consiglio, Mario Draghi.

Come sarà la Firenze post-pandemia?

Quando la mobilità internazionale ripartirà, i turisti riprenderanno a visitare le città come Firenze, Roma o Venezia, come facevano prima e anche di più. Noi dobbiamo essere bravi ad aumentare la qualità dei servizi e dell’offerta complessiva, in modo da attrarre un turismo di un certo livello fatto di persone che non consumano soltanto ma che possono e sanno lasciare una traccia positiva in città. Per questo servirebbero dei manager ‘BiG’ anche nel settore turistico e dell’accoglienza!

Quali sono le doti di un buon manager?

Un manager bravo è prima di tutto una persone umile e che sa fare autocritica. L’autocritica è una molla fondamentale perchè genera costanza e quindi robustezza.

Nella sua carriera ha avuto qualche mentor?

Il mio primo direttore, quando ho iniziato a lavorare all’Imi, è stato Carlo Mazzi e da lui ho imparato tanto. Era un ingegnere, un uomo di un rigore intellettuale raro che pretendeva tantissimo ma che sapeva anche dare una pacca sulla spalla. Una volta mi disse: «Si ricordi che l’intelligenza sarà per lei un limite e un peso, se non impara ad esercitarla» questo non l’ho mai dimenticato.

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