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Parliamo di transizione energetica con Davide Tabarelli: “Continuiamo così ma la strada è lunga”

davide tabarelli e transizione energetica

Davide Tabarelli, membro dell’Advisory Board di BiG, da oltre 35 anni si occupa di progetti e iniziative che coinvolgono l’industria energetica, anche attraverso attività di studio e ricerca portate avanti da NE-Nomisma Energia la società think tank che ha fondato e di cui è presidente. Tra le altre cose, è professore a contratto presso la Facoltà di Ingegneria di Bologna e il Politecnico di Milano, e editorialista per l’energia del Sole 24 Ore.

La transizione energetica raccontata da Davide Tabarelli

Parlare con Davide Tabarelli è un po’ come salire a bordo di uno space shuttle e fermarsi ad osservare il mondo per intero, scoprendolo grande ma anche piccolo allo stesso tempo. Occuparsi di energia, risorse e trasformazione della materia implica per forza di cose avere uno sguardo globale, complessivo, il più possibile oggettivo, in grado di traghettarci verso scelte fattibili e realizzabili nel prossimo futuro. “Tutti si riempiono la bocca di transizione energetica – dice – ma molti non sanno cosa significa”.

Che cosa non si sa?

Non c’è consapevolezza di quanto il percorso verso la transizione energetica sia difficile, si è consolidata l’idea che sia una cosa facile e che non si faccia per colpa di grandi interessi che lo ostacolano.

Cosa rende realmente difficile la transizione energetica?

E’ un percorso lungo e complesso perché implica l’abbandono dei combustibili fossili che ancora oggi sono alla base di circa l’80% dei consumi energetici di tutto il mondo. Sostituirli con altre fonti non è semplice perchè esistono dei fattori oggettivamente problematici, per dirne alcuni: il fatto che il fossile abbia una densità energetica (con costi bassi!) che nessun altra fonte sa darci o il fatto che il solare e l’eolico forniscano energia ad intermittenza, essendo difficile stoccarla.

Cosa fare dunque per provare ad avvicinare l’orizzonte?

Dobbiamo continuare a fare quello che stiamo facendo, nel campo della ricerca e dell’innovazione. Rispetto a quando abbiamo iniziato, 40 anni fa, abbiamo raggiunto grandi risultati: ad esempio, l’efficienza energetica delle fonti rinnovabili è cresciuta del 35%; si è passati da un costo di produzione del fotovoltaico di 10mila € per kW a un costo di 1,5mila € per kW. E si è riscoperto l’uso dell’idrogeno che adesso dobbiamo iniziare a stoccare. Anche il mondo della finanza sta dando segnali incoraggianti di fiducia: basti pensare al titolo azionario di Tesla che sta andando molto bene.

Qual è il ruolo della grande industria in questo processo?

Si tratta di un processo complesso e la grande industria ha un ruolo fondamentale, può fare scuola, poiché per sua stessa natura sa gestire la complessità, e farlo su larga scala.

Qual è il ruolo delle PMI?

Le PMI hanno il “fattore umano”, il manager che può capire e intuire su quali aspetti dell’impresa agire per innovare. Inoltre le PMI sono espressione dell’ ”imprenditore” la cui figura sul territorio è sempre segnale di organizzazione del lavoro e sinonimo di libertà, responsabilità, ispirazione.

Secondo lei, oggi, cosa deve saper fare un buon manager?

Deve avere intelligenza emotiva e non solo cognitiva, per capire cosa vogliono le persone e saper ascoltare. Nelle società moderne, sempre più complesse e digitali, dove internet rappresenta sicuramente una risorsa positiva sebbene per certi aspetti abbia amplificato il “rumore di fondo”, chi ha ruoli di responsabilità deve saper comunicare le conoscenze e aiutare gli altri a capire.

Le politiche green, globali ed europee, possono facilitare una maggiore presa di coscienza nell’ottica della transizione energetica?

La politica tende a fissare degli obiettivi molto ambiziosi che spesso si rendono irrealizzabili. L’Unione Europea si è posta l’obiettivo di decarbonizzazione quasi totale entro il 2050, cosa per altro richiesta dall’accordo di Parigi del 2015. Questo però implica un taglio all’uso dei fossili di almeno il 50-80%, e ciò non è molto realistico stando ai dati di oggi. Credo che dovremmo concentrarci su trovare nuove idee per ridurre le emissioni, anziché stabilire dei traguardi che rischiano di sterilizzare il dibattito.

Il 2020 e la pandemia globale cosa ci insegnano?

Ci insegnano che solo una pandemia può abbattere i consumi di fossili, in particolare di petrolio, e tagliare le emissioni di gas serra come sarebbe richiesto dall’accordo di Parigi. Ci hanno anche mostrato l’utilità e l’importanza della tecnologia nelle nostre vite: se non avessimo avuto i pc e internet non sarebbe stato possibile lavorare da casa e il crollo del PIL nel nostro Paese sarebbe stato doppio.

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